Impossibile da recitare: l'IMBARAZZO
Tante sono le emozioni tabù, quelle di cui non ci piace parlare, anche se hanno un posto speciale nei nostri incubi: oggi ne affrontiamo una, l’imbarazzo.
Se c’è qualcosa che è difficile recitare è proprio l’arrossire.
Gli attori trovano mille scappatoie quando devono interpretare personaggi che provano imbarazzo: balbettano, sorridono, guardano a terra, cambiano discorso. Tutti espedienti, utili e necessari, che però, se resi superficialmente, sono penosamente didascalici (cioè sottolineano in modo eccessivo un gesto o un’azione che racconta un sentimento già colto da chi guarda). Basta fissare una reazione un secondo in più del necessario e già un’interpretazione viene avvertita come finta: l'overacting è dietro l'angolo.
In realtà arrossire a comando è quasi impossibile e comunicare il disagio dell’imbarazzo richiede una disponibilità massima dell’attore: sono spesso le circostanze che si creano (più o meno volontariamente) a permetterne la resa e la comunicazione in teatro o davanti ad una macchina da presa. Insomma, deve succedere sul serio.
Ed è forse questa l'indicazione più utile che come attrice posso dare per far capire capire la vera natura di questa emozione.
L’imbarazzo è un’ emozione sgradevole, che viene vissuta passivamente. Ed è sempre inaspettata.
Imbarazzo viene dallo spagnolo embarazar “impedire”, “ ostacolare” e il suo significato attuale venne elaborato dai medici vittoriani che cominciarono a studiare la relazione di quest’emozione con il rossore: c’era infatti una differenza tra il rossore genuino della vergogna e quello causato dalla rabbia o dalla malattia. Il fisiologo Thomas Henry Burgess nel suo trattato sulla fisiologia e il meccanismo dell’arrossire (The physiology or mechanism of blushing) del 1839 considerava il rossore come un istinto morale dato all’uomo da Dio per frenare le condotte illecite. Ma la natura “morale” del rossore fu accantonata da Darwin già nel 1872: con lui e successivamente con il sociologo Herving Goffman (1956) alla relazione tra l’arrossire e l’imbarazzo venne dato un carattere sociale: le persone cioè, venivano trattenute dall’infrangere le regole della società proprio perché il rossore avrebbe reso visibile la loro azione inopportuna.
E così si distinse l’imbarazzo dalla vergogna e dal senso di colpa che invece furono usati sempre di più per indicare un sentimento privato legato a principi morali.
In definitiva l’imbarazzo può essere considerato un’invenzione dei salotti - bene dell’Inghilterra all’epoca della reggenza, il principale strumento per il mantenimento del conformismo.
Oggi l’idea dell’imbarazzo come strategia evolutiva per scoraggiarci dalle trasgressioni alle regole sociali è stata abbandonata.
Il carattere pubblico di quest’emozione, invece, rimane.
Dopo una gaffe in pubblico ci si può sentire limitati, così come quando riceviamo complimenti generosi durante una riunione di colleghi o dopo un’improvvisa battuta di cattivo gusto che fa calare il silenzio durante una conversazione. L’imbarazzo può paralizzare e creare una serie di situazioni sgradevoli come circolo vizioso (in un ascensore insieme al tuo capo senti all’improvviso il rumore di un peto… e non vorresti imbarazzarti ma è imbarazzante).
Può esasperare l’adolescente quando i genitori parlano di lui ai suoi compagni di scuola.
Ma c’è sempre un altro lato della medaglia.
Ci si può sentire vittime di emozioni o usarle a nostro vantaggio ed ecco che allora l’imbarazzo può consolidare la nostra posizione sociale quando rispondiamo al disagio con una battuta ironica capace di riportare in equilibrio le conversazioni. O quando invece del rifiuto e della chiusura scegliamo tutta una serie di comportamenti empatici nei confronti di chi sta vivendo un’inaspettata difficoltà.
Aumentiamo il nostro carisma, il nostro potere personale, la nostra simpatia quando riusciamo a gestire le situazioni senza sentirci intrappolati da esse: il famoso “e adesso cosa diranno di me” ci riporta indietro, nei salotti ottocenteschi.
E allora vivere fino in fondo un disagio sia dalla parte di chi lo subisce sia di chi lo vive e non reagire automaticamente sentendosi solo vittima degli eventi, ma aspettare che un pensiero nuovo ti attraversi, permette di trovare la giusta via d’uscita. Vantaggiosa, originale e non scontata, anche per un attore.